Cap. 3 "Verso la vita"
Safaa poco dopo quell’incontro era stata mandata nella fattoria della nonna paterna, e al mattino presto si svegliò nella stalla con colei che la guardava e la scaldava col respiro e che divenne l’amica per la vita: Quercia.
Safaa aveva con sé i vestiti e il suo zainetto e la cavalla la fissava calma, nel mentre che lei apriva gli occhi incontrando i grandi occhi di Quercia che esprimevano stupore e tenerezza, che la fissavano… sembrava un’anima libera, che si donava a lei, il suo sguardo era stato il più intenso che avesse mai incontrato. Entrò in quegli occhi di cavalla e vi trovò pace e amicizia, aveva vegliato tutto il tempo su di lei. Safaa si alzò e fidandosi la accarezzò piano, amorevolmente; ora la cavalla non era più infuriata, attendeva solo la libertà e Safaa lo capì. Lei doveva prendere subito una decisione molto importante per la cavalla, ma anche per la propria vita, non aveva troppo tempo per decidere. Poteva tornare alla casa colonica, parlare con la nonna, chiederle di essere più clemente con l’animale, ma conoscendo il suo carattere, molto risoluta e fredda, sapeva che l’avrebbe attesa solo una grande chiusura e forse anche un comportamento punitivo per quella sua fuga notturna.
Si sciacquò il viso, inspirò dell’acqua dal naso per pulire a fondo e risvegliare bene la sua mente, e durante quella pratica prese la sua decisione, poi disse:
“Bene Quercia, adesso io e te ce ne andiamo via”.
Quercia stava solo aspettando quelle parole da molto tempo, sapeva bene che prima o poi sarebbero arrivate e per questo mai si era data per vinta, motivo per il quale era finita rinchiusa da sola in un bosco, e fu per questo che arrivò l’occasione.
Safaa le mise una cavezza, senza morso, alzò la sbarra di legno che la rinchiudeva e uscirono fuori insieme. L’alba era fresca e frizzante, le due si guardarono bene intorno, entrambe erano avvolte da un fermento ingestibile, avevano voglia di correre via.
Fecero insieme alcuni timidi passi verso il bosco, la vita si stava svegliando con la sua inarrestabile potenza, gli uccellini iniziarono a cantare all’unisono. C’era poco tempo prima che delle persone arrivassero a cercare Safaa. Lei accarezzò nuovamente la cavalla, la guardò un po’ negli occhi, poi le disse: “vai!”.
Quercia mosse la testa in su e in giù, Safaa mise la mano sinistra sulla sua criniera e fece un grande salto, la cavalla era alta, ma lei molto agile, le salì sopra appoggiando il torace e la pancia sulla sua schiena, poi si mise in posizione.
Ancora un attimo… fecero quattro, cinque passi, incredule per quello che stavano facendo, forse impaurite, forse non credevano di potercela fare davvero, adesso che avevano la scelta della propria vita in mano, incredule di essere a un passo dalla libertà che era ferma lì, invitante, proprio davanti ai loro occhi.
Non ci pensarono ancora troppo. Partirono nello stesso istante, come se una forza invisibile avesse dato loro il via, con stessa potenza tripla rispetto alla partenza di in una gara di moto da cross, ma senza pensare a niente, senza dover sgassare, il loro impeto era il motore, lasciando alle proprie spalle tutto un mondo, il mondo passato. Corsero molto, dirigendosi in direzione Sud attraverso antichi sentieri, la direzione del loro futuro. Corsero e corsero all’impazzata tagliando in due la brina e tutto ciò che incontrarono.
Safaa cavalcò per tutto il giorno, lasciandosi alle spalle le storie passate, percorrendo una distanza enorme, tanto da non poter più essere raggiunti da nessuno dalla fattoria. Alla sera avevano fatto 60-70 chilometri, addentrandosi nell’area più selvaggia della regione, lontana dalle città, in una zona collinare e boschiva dove regnavano solo degli isolati piccoli borghi antichi spersi in quelle valli, daini, cinghiali e lupi. Durante la cavalcata Safaa non pensò più a nulla, facendosi solo trascinare dal desiderio di oltrepassare le colline che aveva di fronte, e poi ancora le successive, e di seguito altre colline e boschi, fino ad entrare nella più incontaminata natura.
Il paesaggio e il rumore dei passi di Quercia, come un rullo di tamburi, trascinavano la sua mente, i suoi muscoli erano attivi e tiratissimi; era come tirata da un elastico, e lei con Quercia aumentavano sempre di più la loro potenza in modo più che proporzionale rispetto a quell’elastico che mano a mano si tirava sempre di più.
Quando giunsero ai piedi di un grande albero isolato vicino ad un ruscello, Safaa decise di fermarsi, abbracciò la sua nuova amica, ora libera, e scese a terra. Si avvicinò al fiume con Quercia, dove si rinfrescarono. La cavalla bevve per lunghissimi minuti, poi iniziò a scuotere il muso nell’acqua per la gioia della libertà trovata, facendo un gran fracasso e schizzando acqua ovunque.
Safaa si sedette un po’ in riva al fiume e fece dei grandi respiri prendendo consapevolezza della propria nuova condizione di vita. Adesso conosceva il concetto di libertà, le vallate intorno a lei gliela raccontavano in mille modi. Per la prima volta dopo tanto tempo non sentiva più quel senso di frustrazione e oppressione che spesso stavano con lei. Era una sua cattiva abitudine, quella di cadere di tanto in tanto in un buco nero, dove era presa da una tremenda malinconia, e aveva paura di tutto; non vedeva luce né vie di uscita, tremava e rimaneva in quella condizione per delle ore con le gambe raccolte tra le braccia, stando a occhi aperti e fissi sulla finestra della sua camera, puntati sulle colline e provando a immaginare la vita la fuori.
Annaspava sempre per riemergere alla luce, ma non era mai vera luce, perché le rimaneva attaccata addosso la paura di ricadere giù nel profondo. Non capiva come mai provasse quelle sensazioni, a volte pensava di avere una malattia mentale. Ma no, adesso miracolosamente percepiva salute, vita, una potente medicina, una ventata di freschezza rinnovatrice… aria e solo aria; la sentiva tutta sulla pelle, nel suo grembo, nella sua mente, e pensò che non voleva più perderla, l’aria. Le venne d’improvviso un pensiero, come un’illuminazione, e disse tra sé e sé: “Quel buco nero dove a volte cadevo era solo una condizione mentale insita nella mentalità delle donne o dei diversi, che talvolta cadono in quella condizione di ansia e paura che toglie l’aria, ma fingono che ciò non stia accadendo, credono di essere persone libere, camminano per strada come se niente fosse, ma la verità è che nessuna di queste persone è veramente libera, vi è sempre un dolore alla base: ‘la continua paura di cadere nel buco nero’, sensazione che può solo derivare da un’antica tradizione di soggezione e schiavitù”.
E pensava ancora: “No, non può che essere così, e la mia famiglia con i suoi usi e costumi, è inconsapevolmente portatrice di tali comportamenti retrogradi e repressivi; io che porto con me una sofferenza da molto tempo, solo adesso capisco che ciò proviene dal fatto che sono una donna e che, in quanto tale, è molto difficile liberarsi da questa sensazione di vivere sempre in bilico”.
Ora che Safaa aveva realizzato che il suo peso era atavico e che doveva portarselo dietro, gli andava incontro senza opporre resistenza, e con meraviglia si sentiva più leggera, sapeva con cosa e con chi doveva combattere: con i pregiudizi, con la parte peggiore delle culture più arcaiche, mentre gli aspetti migliori di queste, paradossalmente, andavano persi. Doveva convivere con un mostro interiore, che adesso poteva essere anche messo a tacere, con buona volontà di mettersi alla prova, sicurezza in sé stessa, ricerca delle proprie capacità e desideri… era tutto un riappropriarsi; questo era ciò che Safaa provava e pensava.
Era la metà del pomeriggio, ora camminava con svago, ritornata alla forte realtà di quell’ambiente unico e privo di energie negative, e ricco delle anime dei boschi, con accanto Quercia; volse lo sguardo ad un lontanissimo borgo in cima ad una collina, così, do- vendo prepararsi per la notte, si incamminò verso quel posto per trovare qualcosa da mangiare e un luogo tranquillo per passare la notte.
Giunse dopo due ore in quel paese di poche anime, con giusto un grande emporio; si fermò subito al negozio dove comprò alcuni oggetti fondamentali per il suo viaggio. La sua intenzione era quella di raggiungere in due o tre giorni di cammino Nafis, che aveva conosciuto appena, ma che l’aveva colpita profondamente quella mattina a scuola.
Da quell’incontro fugace le era rimasto un bel ricordo, e in quel momento lui era l’unica persona che aveva voglia di vedere, per i suoi atteggiamenti strani ma molto luminosi, gli occhi grandi, dal colore mutevole, quasi navigabili, fino a perdervisi dentro. Ma non era solo questo, era il tutto:
le sue poche e sensibili parole, il tono della voce basso ma caldo e vigoroso, i suoi riccioli, il viso magro con un leggero e costante sorriso; non sapeva cosa esattamente l’avesse colpita. Lui viveva a circa 150 chilometri di distanza da dove lei si trovava adesso, in un bosco fitto insieme alla nonna, e Safaa aveva bisogno di qualche accessorio e di cibo per vivere nella natura, dovendo affrontare quei giorni che le servivano per arrivare da lui.
Non sapeva se l’avrebbe trovato, a questa eventualità non pensava neanche dato che il suo obiettivo era comunque correre e riabbracciare la vita.
Quell’emporio aveva davvero di tutto, e Safaa non si fece mancare nulla. Il commesso era un ragazzo biondo, un po’ rude e spavaldo, e le disse: “Cosa ti dò bella ragazza?”
Lei non fece storie, e snocciolò un elenco di oggetti utili per il viaggio, lasciando il ragazzo con gli occhi spalancati e sbalorditi nell’ascoltarla: “Dunque, belloccio, mi dai: un sacco a pelo, una bussola, un coltello, una piccola sega, dello spago, un paio di guanti in similpelle, un piccolo cannocchiale, un impermeabile leggero, una felpa, un contenitore per l’acqua, frutta e frutta secca, quattro scatole di fagioli, un kilo di pane integrale, del latte di soia, dei cereali, e biscotti integrali, una borraccia, 5 litri di acqua e se ce l’hai, una piccola tenda. Vado qua fuori a riposarmi dal mio cavallo, chiamami quando hai preparato tutto”.
Il ragazzo che non credeva alle sue orecchie, essendo abituato a vendere solo sementi, pasta e caffè alle donne del paese e utensili agli uomini, oltre che cibo e oggetti da campeggio ai vari turisti e viandanti che via via passavano da quel paesello dimenticato, si mise subito all’opera per cercare tutte le cose richieste.
Dopo un po’ sbirciò dalla finestra per vedere che cosa facesse la ragazza; lei era seduta accanto al cavallo, suonava un flauto di legno con i capelli che toccavano terra, proprio come la coda del suo cavallo. L’uno accanto all’altra visti da dietro sembravano due gemelli diversi. L’effetto di quella visuale era particolare, le avrebbe voluto fare una fotografia, ma se la ragazza se ne fosse accorta, considerando quel suo temperamento che gli incuteva un certo timore, probabilmente avrebbe reagito male, quindi desisté dal fugace pensiero e continuò il suo lavoro per mettere insieme tutto quello che gli era stato richiesto.
Dopo una buona mezz’ora, finito il suo lavoro, aiutò la ragazza a caricare perbene le cose, con accurata dedizione le spiegò come si montava la piccola tenda e le disse che rimaneva a sua disposizione per ogni evenienza. Lei rispose: “Grazie, lo terrò presente per quando ripasserò da qui, ora devo viaggiare molto verso Sud e ho poco tempo per cercare un buon posto per passare la notte”, e sorridendogli saltò su Quercia e si allontanò dagli occhi del ragazzo, che in quel momento erano diventati due calmi laghi che rispecchiavano tutta la curiosità verso la pace e la libertà.
Safaa e Quercia camminarono sino a poco prima del tramonto. Si fermarono quando la ragazza individuò un luogo riparato da grandi querce vicino ad un corso d’acqua; lì si stirò, raccolse le sue idee ammirando la grande vallata verde che aveva di fronte e decise che quello era il luogo ideale per installare la sua tenda. Quando ebbe finito, il sole stava per tramontare, quindi si mise seduta ad osservare il paesaggio che pareva un dipinto dai colori rari, trasmettendole calore dentro; faceva grandi respiri ad occhi chiusi come per nutrirsi di energia, mentre Quercia pascolava vicino a lei. Non credeva ai suoi pensieri, di come in un giorno tutto fosse mutato… ora si sentiva veramente sé stessa, come mai si era sentita.
Dopo un po’ che respirava lentamente, riaprì gli occhi e il panorama che aveva di fronte, con i colori che avevano ora maggiore intensità, le provocò una sensazione di appartenenza, lo scorrere del tempo si era fermato, il cielo si infrangeva tutto rosso sulle colline verdi brillanti, nella sua anima e nel rumore del canto delle cicale… tutto era avvolto dai colori. Safaa a quel punto mutò completamente il suo punto di vista sul presente, i suoi pensieri erano cambiati, come i suoi lineamenti, che si erano completamente distesi. Vedeva ora una nuova luce sulla sua realtà, dimentica delle tristezze degli anni trascorsi.
Ora aveva posto tutta la sua attenzione solo sulla natura e su sé stessa; si trovava in una nuova dimensione, una nuova realtà. Si sentiva diversa dalla vita precedente; ora osservava la ragazza che era stata il giorno prima, senza però giudicarla. Non aveva bisogno di niente, se non di riposare. Mangiò un po’ della frutta secca che aveva con sé e attese il calar della notte per poi stendersi a guardare il cielo finché non le si chiusero gli occhi come sipari sulle stelle, sul quel suo grande giorno di svolta, un finale che richiedeva di continuare e continuare.
Anche Quercia socchiuse gli occhi, con la zampa posteriore destra appena piegata e lo zoccolo appoggiato a terra con la punta, per farla riposare, fino a quando poi non fece riposare le altre, una ad una, a turno, con gli occhi socchiusi, sempre attenti a controllare la sicurezza dell’amica trovata, l’amica che le aveva dato la libertà. Questo era adesso il suo modo di dormire: era la sua guardiana.
Al mattino, prima dell’alba, Safaa si svegliò di colpo con un concerto di uccellini che d’impeto tutti insieme cantavano, li ascoltò fino alla prima luce, non potendo cercare di dormire ancora con quel coro di mille cinguettii che la trascinava alla vita; affievolitosi il canto collettivo con la luce che cambiava man mano tutta la realtà, dalle ombre del silenzio di tutte le anime a riposo, al silenzio della riflessione alla luce, pronta per ogni essere a dar via all’azione; andò con Quercia al fiume a bagnarsi con un po’ d’acqua, poi si dedicò per mezz’ora alla sua irrinunciabile pratica del saluto al sole del primo mattino con i suoi esercizi di potenziamento della respirazione. L’atmosfera dell’alba le parlava e le dava quella vita che non era mai riuscita a sentire appieno; era il linguaggio della natura, e la sua instancabile ciclica potenza vitale che la costringevano ad essere viva, che l’avevano rapita dal buio delle mura di casa.
Mangiò un po’ di frutta, del pane e bevve del latte di soia, poi sistemò la tenda e tutte le cose, accarezzò la sua Quercia, che dopo aver pascolato un po’, inizio a saltare non appena percepì con la coda dell’occhio il progetto dell’amica. Partirono ora in direzione sud-ovest, la direzione della casa di Nafis. Così lui le aveva chiesto di fare, in uno strano biglietto che le aveva fatto recapitare in classe, miracolosamente, poco prima che i suoi genitori la spedissero via. Nafis era andato a vivere dalla nonna a circa 200 km a sud ovest della città dove con Safaa si erano conosciuti, sulla collina più alta di un antico borgo immerso nella natura, nel mezzo di un bosco di querce, raggiungibile solo da un’unica vecchia mulattiera che partiva da un piccolo e suggestivo ponte romano alla base del paese; si snodava lungo una lieve salita fatta di tornanti, lunga 15 chilometri, che scoraggiava tutte le persone ad andare fin lassù. Un punto di vista molto particolare dal quale si vedevano tutte le vallate intorno, sino al mare… era il punto di vista di Nafis, così lui le aveva raccontato.
Safaa, lungo il suo cammino si lasciava ormai trasportare da Quercia, con la quale era una cosa sola, elementi, due menti, due intelligenze diverse, una sola testa, due corpi, un solo corpo, quattro occhi, una sola visuale davanti: una natura incontaminata tutta da perlustrare, da respirare insieme, da incontrare, amare, insieme agli animali trovati nel loro lento andare; questi, daini, volpi, porcospini, rapaci, sembravano tutti attenderli stupiti del loro passaggio lento, per nulla impauriti di fronte a quell’andatura fatta di circospezione, elemento amalgamato al tutto; gli animali che di soppiatto li osservavano, sembravano davvero spettatori all’arrivo ad un traguardo immaginario, tutti presi, tanto che le loro azioni di sopravvivenza e di gioco quotidiane ora potevano aspettare.
La pubblicazione continua col cap. n. 4... "Soraya"
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